giovedì 25 luglio 2013

LA STREET ART COME TOOL PER LA COMUNICAZIONE PUBBLICITARIA

Algida prosegue con le sue iniziative di comunicazione 2013 con la realizzazione di un’opera di street art, per la precisione di un murales. L’intento è quello di celebrare il Cornetto Classico ma anche quello di proporre la nuova referenza dell’azienda, Cornetto Sbagliato. Il murales, elaborato dall’artista Thoms, si trova a Roma, sulla facciata esterna della ex fiera di Via Cristoforo Colombo, una delle arterie principali della capitale. Imponenti le dimensioni del disegno, che occupa una parete di circa 300 metri quadrati. (Fonte: DistribuzioneModerna)


Mi piace molto questo nuovo approccio alla comunicazione pubblicitaria. La street art quando è realmente una forma d'arte e non un ammasso di simboli e scritte deliranti è senza dubbio preferibile alla creatività pubblicitaria classica. In fondo, lo storytelling visuale lo si può ottenere anche attraverso il disegno, il murales, senza necessariamentre ricorrere all'immagine fotografica. Come sempre ciò che conta è l'idea di fondo. Inoltre ritengo che se in una città ci fossero più rappresentazioni creative di questo tipo e meno poster 6x3 anche il decoro urbano ne guadagnerebbe. 
Michele

P.s. Altri esempi carini...




venerdì 19 luglio 2013

LA TRISTEZZA DELLE IN STORE PROMOTION

Chi bazzica nel marketing da un  pò di anni sa che le attività promozionali di In Store promotion con promoter, hostess e stewart sul punto vendita sono strumenti tattici molto efficaci, perché si svolgono nel luogo e nel momento in cui il consumatore decide cosa acquistare. Questa però talvolta rimane soltanto pura teoria da libro.  Sentite cosa mi è successo. 
Qualche giorno fa mi è capitato di assistere ad una scena che avrebbe causato i brividi a qualsiasi responsabile marketing e comunicazione. Al centro dell'ipermercato Auchan ho visto posizionato il classico banchetto degustazione con esposte delle "freschissime" ( si fa per dire)  fette biscottate di una nota azienda italiana magistralmente "non-promosse" da una giovane promoter dall'aria disperata, annoiata e insoddisfatta. Inoltre la ragazza era totalmente concentrata più sullo smartphone  che sulle persone che le passavano accanto. Persino mia moglie (cliente dell'azienda in questione) mi ha sussurrato: "che tristezza... ti fa passare la voglia di comprarle". 
Non è la prima volta che mi capita di assistere a queste operazioni di marketing dallo spietato effetto boomerang ed allora mi chiedo: 

- che senso ha investire soldi nelle In Store Promotion? 
- qualcuno controlla davvero il lavoro di queste ragazza dalla motivazione sotto i tacchi? 
- hanno ancora senso queste attività senza una reale integrazione con il mondo social? 

Michele 

venerdì 12 luglio 2013

IL MARKETING DEL CONTENUTO

Il così detto content marketing è oggi uno dei più importanti strumenti a disposizione delle aziende per parlare con i propri clienti. Sia in campo b2b che in campo b2c la pratica di raccontare storie attorno ai propri prodotti, progetti e valori è una tecnica imprescindibile per qualsiasi attività di comunicazione.  La Content Marketing Association afferma che nei social media, ad esempio, il 68% dei consumatori dichiare di fermarsi a leggere i contenuti propoposti dai brand. 
Ma quali sono le principali metriche di misurazione di una buona attività di marketing del contenuto?


Questa si che è una bella scoperta: il valore dell'engagement creato con i lettori assume un'importanza maggiore del semplice incremento di traffico piuttosto che dei positivi effetti collaterali sul SEO. Che i manager siano sulla strada giusta? 
Michele

P.s.
Questa ed altre infografiche sul tema le trovate qui 

martedì 9 luglio 2013

TUTTO RUOTA ATTORNO ALLA COMMUNITY

Dedicate qualche minuto per leggere l'estratto di questo articolo dal titolo: "Il tempo delle marche nativamente digitali":

"Negli ultimi 15 anni abbiamo assistito, nel marketing, a un cambio epocale nelle modalità di customer approach, poiché si è passati da una logica di marketing transazionale a un approccio sempre più relazionale che poi, affinandosi, è divenuto esperienziale.
L'assunto di partenza di questa virata strategica nasce dal fatto che più l'esperienza del cliente all'atto d'acquisto è sentita, multisensoriale, coinvolgente, interessante ed emozionante, e più il processo di acquisto viene sollecitato da elementi extracognitivi. Ciò è particolarmente importante in contesti, quali quelli maturi, in cui la differenziazione su elementi tangibili appare particolarmente difficoltosa; oppure in quei settori in cui gli elementi di differenziazione sono mutevolissimi e difficili da seguire per il consumatore che quindi, per effettuare la sua scelta, si affida al brand (pensiamo alla telefonia) o, ancora, in quei comparti in cui, a causa della loro peculiare natura, la reason why che orienta la preferenza non può che essere legata alla sfera emozionale e non cognitiva. Ci riferiamo, per esempio, a tutti i luxury brand, nel food come nel fashion, nei servizi turistici come nella cosmesi. Questi marchi, il cui valore è fortemente connesso a benefici di natura emozionale e il cui acquisto, squisitamente di origine positiva, rientra senz'altro nella sfera dell'approvazione sociale, sono significativamente symbol intensive."
Io credo che queste poche righe diano una fotografia esatta del contesto in cui oggi un brand si trova ad operare. E quale è la conclusione che ne traggo? Che tutto ruoto attorno al concetto di community. Ogni azienda, ogni marca oggi ha la grande opportunità di trasformare la propria brand awareness in uno stato di lovebrand costruendo veri e propri fan club attorno al proprio nome o ad un tema/interesse che la accomuna con il target da coinvolgere. Se la marca vuole competere in queste condizioni di mercato non può che ritagliarsi un ruolo da protagonista nella nuova economia dello sharing e cambiare la propria mentalità, ancor prima che i propri strumenti, in un'ottica di relazione vera ed autentica con il proprio pubblico. Community is the only way....
Michele 

giovedì 4 luglio 2013

LA RESISTENZA DELLA TELEVISIONE

Stando ai dati che emergono dalla  Global Survey of Consumer Shopping Behavior Nielsen sui consumatori, eseguita nel 2012. (Fonte: Spot & Web) :
 
"il 53% del campione e’ convinto che l’esposizione alla pubblicita’ favorisca le decisioni di acquisto (media Europa 48%), il 47% comprerebbe un prodotto perche’ gli e’ piaciuto lo spot (34%), il 40% sostiene che l’adv incrementa la preferenza per il brand (Europa 38%), il 36% e’ dell’opinione che l’immagine di prodotto creata dalla pubblicita’ influisca sulle scelte di spesa (39%), il 33% si sente rassicurato nell’acquisto di un prodotto pubblicizzato (31%). "

sembrerebbe proprio che alla faccia dei social media (di cui io sono un accanito evangelizzatore) la televisione mantenga ancora un  ruolo di primaria importanza nell'influenzare la scelta d'impulso di un prodotto. Come dire.. se il tuo obiettivo è  un incremento delle vendite nel breve periodo dal piccolo schermo devi passare. Ma quali sono le ragioni di tutto questo? Io mi sono dato le seguenti risposte:

- la televisione raggiunge un'audience allargata che fa gola persino ai colossi del business online come Zalando o Expedia (sono entrambi spesso in campagna televisiva) 

- lo spot per sua natura lavora sul lato emozionale del processo di acquisto e dona al prodotto una caratterizzazione aspirazionale che i social non riescono a trasmettere in 15 o 30 secondi

- la tv generalista è oggi affiancata da una tv che adotta uno stile "social" ovvero che parte dagli interessi di singole nicchie per offrire contenuti mirati ed efficaci 

- i social hanno riportato la tecnica dello storytelling al centro del processo creativo e la televisione si è ricordata che già ai tempi del Carosello applicava questa tecnica

- la maturazione di un processo d'acquisto ragionato che induce le persone ad un approfondimento sistematico di ogni bene da acquistare non è ancora giunto al suo totale compimento. 

Michele

 


martedì 2 luglio 2013

L'IMPATTO DEL DIGITALE SU INNOVAZIONE, MARKETING E CONSUMATORI

 Come sosteneva il sociologo Weinschenk "la storia ci insegna che qualunque sia la tecnologia, troveremo il modo per usarla per comunicare, cioè per renderla sociale". Ecco perchè oggi limitare il concetto di "economia digitale" al solo mondo online può essere pericolosamente riduttivo. 
Michele


Da qualche anno aziende e consumatori hanno iniziato a fare i conti con un nuovo ecosistema economico che per semplicità chiamiamo "digitale".
La parola "digitale" copre un ambito molto più ampio e sfumato di quello che si associa alla sola Internet, qualcosa che non esiste senza rete - anche se non si riduce alla rete. Un movimento profondo che deriva da una mutazione genetica del business e del substrato sociale che lo contiene. (...)Negli scorsi decenni questa mutazione "digitale" (anche se non veniva chiamata così) era confinata ad alcune nicchie che vivevano sulle frontiere, cioè nei territori della sperimentazione, della coolness, del cult. Oggi la frontiera si è allargata fino a raggiungere la maggioranza evoluta delle persone e definisce dei nuovi confini: i territori dell'innovazione. Solo che l'innovazione di cui stiamo parlando non appare come un confine visibile, ma ha più la parvenza di una serie di passaggi che, pur essendo graduali, devono verificarsi contestualmente:
1. cambiamenti effettivi ed efficaci nella vita quotidiana degli individui ;
2. spostamenti sensibili nelle soglie di accettabilità sociale (per esempio fare qualcosa che qualche anno fa sembrava insolito);
3. mutazioni lente ma implacabili nelle abitudini di acquisto e di consumo.
In sintesi c'è innovazione quando l'evoluzione tecnologica, culturale, economica della società s'incrocia con i bisogni degli individui, con la loro quotidianità o con i loro progetti e desideri