venerdì 11 settembre 2009

MARKETING MOM

Riporto di seguito un interessante articolo comparso su La Repubblica Delle Donne  nel quale emerge come il "conformismo" di certe tendenze nelle abitudini comportamentali e nei consumi non riguardano soltanto il segmento "young"della popolazione ma colpiscono anche le più insospettabili "mamme". Ovviamente letto da un punto di vista "marketing" questo non può che stimolare le aziende interessate a questo target ad analizzarne ulteriormente il profilo.


Nuovi conformismi: cliché e modelli di comportamento condivisi danno sicurezza.
Anche nell’essere genitori. Costi quel che costi. Un esempio? I compleanni faraonici. Succede in Usa, ma sempre più anche da noi
Madre adeguata uguale madre adattata. E pazienza se l’adattamento prende i contorni dell’omologazione. Anzi. In una prospettiva in cui, come scrive il filosofo Umberto Galimberti, il “conformismo è condizione di esistenza” e “la differenza, la specificità e la peculiarità individuale, oltre a non essere remunerative, destano persino qualche sospetto”, una mamma si guarda bene dal prendere (e dall’insegnare) strade secondarie. Il risultato è una maternità impacchettata in tappe e rituali sempre più rigidi e protocollati, e da cui sono escluse iniziative personali, pratiche sfuggenti, abitudini poco comuni. La classe media urbanizzata americana è quella in cui i sintomi dell’appiattimento precoce al cliché sono più evidenti. A partire dalla remise en forme: nessuna neo-mamma si affiderebbe ad attività improvvisate (una passeggiata in campagna?). Molto meglio sballottare il neonato su e giù per i parchi della città con il passeggino (sembra una cosa da pazzi, invece ha persino un nome: strollerfitness). Tutto è preferibile, purché socialmente condiviso. Mamme neohippy newyorkesi fanno il bagno nude con il piccolo, mentre la tata, in divisa, prepara gli accappatoi. E no, non capiterà mai di sentire un bambino chiedere, all’uscita dalla scuola materna: “Oggi può venire Gabriele da noi?”, e via a casa, con una sosta a comprare due pezzi di focaccia e il succo di frutta. A New York i bambini, per vedersi, devono fissare un appuntamento, e mica è facile trovare posto nelle loro agende. Ma le differenze tra Italia e Stati Uniti si stanno assottigliando. Una prova sono i compleanni. Il gigantismo va garantito. Per organizzazione, e soprattutto costi, preparare una festa per un bambino di quattro anni e un party per la maggiore età è quasi la stessa cosa. Ci sono l’affitto del locale, le bevande, i cappellini, i regalini, il mago, l’animatore, la torta di Spider Man per 50 persone. Il passa-parola, in questi casi, funziona sempre: «Ma tu conosci un bravo mago?», ed ecco che a tutti i compleanni spunta Zuzù, e anche se Zuzù si inventa sempre qualcosa di nuovo, i bambini, ormai, i suoi trucchi li sanno a memoria. Difficile che una madre si azzardi a proporre qualcosa di diverso. Che, nello sforzo di offrire al figlio quello che hanno avuto gli altri, le venga in mente di chiedergli: «Tu come la vorresti, la tua festa?» (per scoprire, magari, che a lui del mago e dei 50 invitati non gliene frega niente).
Perché ci viene naturale consegnarci a modelli pre-costituiti? «Perché sono tranquillizzanti. Hanno l’attrattiva di avere già funzionato, e sono rare le mamme così sicure di sé da proporre un modello autonomo», osserva Giorgio Rezzonico, docente di Psicologia clinica e presidente dell’associazione Panda, a sostegno della maternità.
di Caterina Duzzi 

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